Manuel Zurria, il flauto nel labirinto della ripetizione
Paolo Carradori, Il Giornale della Musica
https://www.giornaledellamusica.it/dischi/manuel-zurria-il-flauto-nel-labirinto-della-ripetizione
Ci sono, direi per fortuna, musicisti che trasmettono attraverso le scelte repertoriali di un concerto o di un cd un messaggio culturale, il perché di una scelta di campo, l’intenzione di farci riflettere su qualcosa che va oltre l’esposizione delle loro capacità interpretative, di lettura di quei materiali. Processo che, consciamente o no, arricchisce quel documento sonoro di un valore aggiuntivo.
Questa la sensazione dopo l’ascolto di Again & Again (Ants) del flautista siciliano Manuel Zurria. Due cd zeppi di stimoli, visioni, che documentano ampiamente aspetti conosciuti o meno di quelle correnti musicali definite minimaliste, ripetitive, più recentemente process music, anche se tutte queste etichette c’è chi le considera non equivalenti, chi sovrapponibili. Potremmo definire Zurria un "recidivo". Già nel 2007 infatti con Repeat! (triplo cd per Die Schachtel) e nel 2011 con Loops4ever per Mazagran il flautista intendeva «creare una mappa di musicisti collegati dal filo invisibile della ripetizione» (sue parole dal booklet). Sta qui lo scarto, quel valore aggiunto di cui sopra. Un amore per la ripetizione non semplicemente documentato ma vissuto come sollecitazione, necessità culturale di disegnarlo all’interno di una cornice più ampia. Su questa linea Again & Again ampliando il panorama della ricerca ai protagonisti del Minimalismo americano, proponendo anche compositori meno noti provenienti dall’est europeo, non solo risulta di notevole interesse e piacevole ascolto ma assume il carattere di testimonianza preziosa su uno spaccato della musica del Novecento e di oggi. Ma Zurria aggiunge un elemento in più a questo panorama di per sé già ampio. Adatta, rielabora, trascrive molte composizioni nate per altri strumenti, le adatta alle proprie esigenze creative, ai propri flauti, in questo modo dilata il proprio ruolo di interprete, si trasforma in qualche modo in autore. In fine si potrebbe anche dire che Again & Again, anzi il trittico completo, esaltando il valore comunicativo, compositivo e sperimentale della ripetizione, suona anche come sveglia per buona parte della critica musicologica spesso arenata a vecchi stilemi eurocentrici che legge ancora con fredda sufficienza questo pezzo di storia della musica contemporanea. Il confronto ravvicinato tra i padri del Minimalismo americano (Philip Glass, Terry Riley, Steve Reich) e compositori che vengono dalla Lituania, l’Ungheria, la Slovacchia che sviluppano in modo sorprendente quelle tracce trasportando la filosofia minimalista da tutt’alta parte è molto stimolante. Le due Dances #2 e #4 entrambe del 1979, originariamente per organo, e In Again Out Again (1969) scritta per due pianoforti, ci ricordano il Glass giovanile, la sua avvolgente matematica dell’estraniazione alla quale Zurria aggiunge la leggera ironia dei giocattoli. Una spasmodica ricerca di nuovi spazi musicali sul piano del linguaggio, del senso del tempo, dei timbri ma anche l’esposizione dell’esigenza di instaurare un diverso rapporto con chi ascolta. Dorian Reeds di Riley è del 1965 nata per sassofono, si caratterizza per una maggiore e sinuosa mobilità degli elementi e sfalsamenti interni in una predisposizione poetica e rituale che evoca l’oriente. Notevole la trascrizione per tre flauti e percussioni giocattolo che Zurria realizza su Reed Phase (1966) di Steve Reich (l’originale è per sassofoni e nastro). Il timbro brillante del flauto piccolo rende ancora più etereo, sognante, frizzante l’intero percorso del brano che se ti lasci andare ti trascina in un vortice incontrollabile. Quando arriva il silenzio è come precipitare in caduta libera da un grattacielo. Tra le sedici composizioni proposte non poche sono le sorprese, soprattutto riguardo ai compositori dell’est europeo che raramente incontriamo. Lo slovacco Adrián Democ con il breve Canon (2017), che Zurria trascrive mirabilmente per quattro flauti, incanta per profondità e leggerezza. Il primo cd si chiude con Bagatelle (1985) dell’inglese Howard Skempton. Nella brevità del brano si evoca non solo la particolare forma musicale generalmente concepita da camera ma viene esaltata anche una trama, una filigrana di grande fascino ed eleganza nella quale Zurria si esalta per misura, timbro e agilità. Il secondo cd apre con un sorprendente Számezene II-instrumental version, in LA (1995) dell’ungherese Laszló Sáry per sette flauti e percussioni giocattolo, da un marcato carattere ritmico, ludico, ironico e obliquo, ci trascina in un mondo semplice e incantato. Ma sorprende ancora di più Water -Wonder (1981-83) di Tibor Szemzö, anche lui ungherese, per quattro flauti, che si snoda in una esaltante polifonia, incroci-scontri dei fiati che creano un muro di suoni densi e sinuosi, dove emerge uno spiccato senso compositivo tra movimenti, gioco di volumi. Ma il secondo cd contiene i due brani che più ti rimangono dentro sfuggendo anche ad una rigida classificazione nel panorama minimalista-ripetitivo. Si tratta di Kalno Sutartinè (VII) (2015) per 72 flauti del lituano Ricardas Kabelis e Harmonium #1 (1976) per 12 flauti e onde sinusoidali dell’americano James Tenney. Composizioni che trascinano in una trance infinita, lunghe vibrazioni sonore che rimandano a ritualità, serenità, una musica che pare ferma ma dove in realtà tutto si muove. Materiali dove Zurria si esalta non solo sul piano strumentale ma anche su quello della elaborazione, reinvenzione, dilatazione degli spazi sonori. Again & Again è un vero scrigno di suoni sorprendenti, situazioni inusuali tra conferme, riscoperte, stupori e visioni. Una cosa è certa, Manuel Zurria ci dimostra in centocinquanta minuti che, se è vero che nessuna musica è mai stata estranea alla ripetizione, nell’universo contemporaneo questa ha rappresentato e rappresenta in tutte le sue forme evolutive e sperimentali una svolta radicale sia nella filosofia compositiva come nella prospettiva di fruizione. In fondo, per dirla con Robert Ashley: «brevi idee ripetute massaggiano il cervello».
Minimalismo, la ripetizione è un’arte
Alias de “Il Manifesto”, 22 Agosto 2020
Mario Gamba
La musica ripetitiva detta anche minimalista – ma le due definizioni non sono accettate da tutti come equivalenti – è cosa del passato? Una cosa degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso? Una colonna sonora per hippie acculturati, viaggiatori tra Berkeley e l’India? Macchè. Si tratta di un modo d’intendere la musica che ha tutte le possibilità di rinnovamento e di rivolgimento che hanno altre opzioni di quel crogiuolo che si chiama musica contemporanea. Ne è convinto Manuel Zurria. Flautista è dir poco: è un interprete che lavora sui testi con acume da compositore. Cita un gran teatrante, Pippo Delbono, per accreditare la propria visione della ripetizione (in musica, in filosofia): la ritualità porta a una prospettiva in cui “tutto si ripete, ma è come se ogni volta fosse la prima”. Il nuovo doppio cd con cui Zurria torna in primo piano sulla scena, “Again & Again” (ANTS) è il compimento di un ciclo che corrisponde a un desiderio: “creare una mappa di musicisti collegati dal filo invisibile della ripetizione”. Le parole di Zurria sono parti dell’autointervista che il musicista premette al suo lavoro discografico. Scritto con intelligenza invidiabile: magari tutti i giornalisti intervistatori ne esibissero sempre della stessa pasta! In questo magnifico concerto per tutti i tipi di flauti e vari dispositivi tecnologici ci sono esponenti classici della musica basata sul concetto di ripetizione - Philip Glass, Steve Reich, Terry Riley, vale a dire i fondatori, i profeti – e ci sono più numerosi gli elaboratori in proprio, più recenti, spesso distanti da moduli riconducibili ai “grandi padri” di questa visione dell’arte dei suoni. Consistente il gruppo dei compositori che vengono dall’Est europeo: i lituani Rytis Mazulis e Ricardas Kabelis, gli ungheresi László Sáry e Tibor Szemzö, lo slovacco Adrián Democ. Il brano di Kabelis, “Kalno Sutartine VII” è per 72 flauti, è scritto per Zurria e non è ancora pubblicato. Si basa sulla ripetizione in maniera standard, se vogliamo, ma ha un mood magico: un tipo mai ascoltato di serenità. Una meraviglia, forse il gioiello della raccolta, è “Harmonium #1” di James Tenney, un immenso compositore americano coetaneo di Glass, Reich e Riley. Difficile dire se l’opera rientra nell’universo minimalista. La versione zurriana per flauti e onde sinusoidali è una musica che ha la forma di un’unica onda di suono così tenue, così densa, così ammaliante. La materia degli strumenti e del dispositivo tecnologico è ricomposta in una materia nuova e sembra provenire da un’unica sorgente sonora. Ci pervade, riempie di affetti e pensieri liberi il nostro tempo di vita.
Andy Hamilton – The WIRE
Again And Again
ANTS 2XCD
This is the third and final release of a project on minimalisms by Italian flautist Manuel Zurria, which began with Repeat! (Die Schachtel, 2007), followed by Loops4ever (Mazagran, 2011). Reading Gilles Deleuze's Difference and Repetition made Zurria reflect on repetition's role in contemporary music, as a perceptual and minimal fact. As on the earlier albums, flutes and other instruments are performed and/or prepared by Zurria, and all arrangements are by him. The double CD is packed with exciting, propulsive pieces indebted to process minimalism. It features leading Americans and lesser known East Europeans who took up their challenge. Zurria makes us familiar with the East Europeans – László Sáry, Tibor Szemző, Adrián Demoč, Ričardas Kabelis, Rytis Mažulis – while making the familiar styles of Riley, Reich and Glass seem new. Zurria makes the compositions his own, re-composing and re-interpreting them. He calls his collaborations "open transcriptions" or "creative adaptations". He respects every note of the score, changing only the colours by adding toy percussion, field recordings, or doubling (or quadrupling) the instrumentation. By email, he comments on the fun the project involved: "Probably I chose toy instruments for that reason, since this is very 'serious kidding' for me." A standout is Water-Wonder, written 1981-3 by Hungarian composer Tibor Szemző. It's for flutes and tape delay produced originally by two tape recorders, and giving it a ping-pong effect. Zurria's version has a buoyancy and dynamic edge compared with more faithful versions I've heard; it becomes haunting in its later, echo-filled stages. James Tenney's Harmonium #1 (1976) is the only longer track that isn't process minimalism or influenced by it. Zurria comments that Cage wanted Tenney to be part of his New York circle, but for unknown reasons, he wasn't, and didn't achieve the recognition he deserved – which is certainly true. Tenney described his music as "sound for the sake of perceptual insight" – simultaneously intellectual and sensuous, involving exploration of the structure of the harmonic series. Harmonium #1 is arranged for twelve flutes and sine-waves. It's a study in acoustical beating, the pulsation created between pitches that are very close together – a miraculous creation. Two 60s classics are Riley's Dorian Reeds and Reich's Reed Phase. Dorian Reeds is austere minimalism, which Zurria's lively interpretation brings to life. Reed Phase was composed for live and taped saxophone, and Zurria arranges it for three piccolos and toy percussion – a delightful realisation that relieves the rigour of the original. The album is a richly rewarding conclusion to a wonderful project.
Kahodik 15 Luglio 2020
Il flautista italiano Manuel Zurria propone questo lungo doppio album il cui titolo coglie perfettamente l’essenza dell’operazione. I brani interpretati, alcuni lunghissimi, altri discretamente brevi, sono composizioni – in molti casi ri-arrangiate per flauto/i, a volte supportato/i da altri strumenti tutti suonati da Zurria (in particolare effetti, percussioni, percussioni giocattolo)- di esponenti, celebri e meno celebri (magari semplicemente perché più recenti), del minimalismo: Számzene I – counting music (for Tom Johnson) e Számzene II – instrumental version, in LA (1995) di László Sáry (1995), Dance #2 (1979), Dance #4 (1979) e In Again Out Again (1968) di Philip Glass, Canon (2017) di Adrián Demoč, Clapping Music (1972) e Reed Phase (1966) di Steve Reich, Bagatelle (1985) e Bagatelle 2 (2019) di Howard Skempton, Dorian Reeds (1965) di Terry Riley, 7 Flutes (2015) di Kevin Volans, Carduelis (2018) di Rytis Mažulis, Water-Wonder (1981-83) di Tibor Szemző, Harmonium #1 (1976) di James Tenney e Kalno Sutartinė (VII) (2015) di Ričardas Kabelis. I protagonisti assoluti di questo viaggio sonoro, della durata di circa due ore e mezza, nelle sottili pieghe del minimalismo musicale sono due. Il primo è il virtuosismo dei flauti di Zurria, che già vanta registrazioni importanti e collaborazioni con compositori eccellenti, tra cui Sylvano Bussotti, Aldo Clementi, Alvin Lucier, Salvatore Sciarrino, Giancarlo Cardini, Philip Corner e Noah Creshevsky. La seconda protagonista è la ripetizione. Estenuante, la musica ripete, ancora una volta di più, il pattern melodico-ritmico su cui si basa, articolandolo lentamente con gradualissime, magari quasi impercettibili, variazioni. E così facendo, girando spesso in tondo per dir così all’infinito (questa l’impressione che subisce la nostra attenzione di ascoltatori), cattura la nostra percezione uditiva che si lascia portare via da questi mantra vorticosi trascinando con sé la nostra mente negli spazi siderali del sempre uguale… eppure anche sempre, sottilmente, diverso.
Voto: 9
Alessandro Bertinetto
CONTINUO'S DOCUMENTS - JULY 28, 2020
[review by Laurent Fairon]
Manuel Zurria is an Italian flutist born 1962, the interpret of many contemporary works for flute from the 1960s avantgarde to today’s postmodern works, which he performs with or without electronics, re-recording, or extraneous noises. Zurria also premiered multiple pieces he commissioned to living composers.This 2xCD set is the 3rd volume of a trilogy focusing on Minimalist composers. I’m not familiar with vol.1, but I enjoyed vol.2 ‘Loops4ever’ back in 2011, collecting radical sound experiments for electronics, vocals and weird sound treatments and occasionally flute. Titled 'Again & Again’, the present record is a survey of the many colors of American and European Minimalist music for the flute including familiar names like Philip Glass, Steve Reich, Terry Riley, Howard Skempton, James Tenney, Kevin Volans or Tibor Szemző, as well as little known composers from Slovakia or Lithuania.The re-recording technique favored by Zurria on many tracks can conjure up otherworldly sonorities, from dreamy delay effects to massive accumulation. Zurria also adds extraneous sounds here and there, his signature sort of, like in Philip Glass’ Dances #2 and 4, originally for organ, and here rendered as joyful, exquisite dances for flutes, toy instruments and environmental sounds like train – both tracks are some of the highlights of the album for me, though my favourite has to be Tibor Szemző’s Water-Wonder, a sublime, dreamy build-up for 4 different flutes exploring homophonies between actual flutes and delay effect.On several occasions, Zurria appropriates compositions originally for saxophone, organ, piano or percussion and reconfigure them according to his own tastes, with or without flute – like Steve Reich’s Clapping Music, here interpreted with handclappers (!). This variety of approach provides diversity and keep things interesting throughout, yet an inevitable cumulative effect arises from such an anthology which should be appreciated through little sips rather than one long sitting.
VITAL WEEKLY
Frans de Ward
number 1243-week 30
The catalogue of Ants Records, the flute has a special place, it seems. Following Werner Durand's 'Schwingende Luftsaulen 2' (Vital Weekly 1179), there is now another release with flutes and operate in the world of minimalism. However, whereas Durand plays compositions he wrote, Zurria performs works from the mighty canon of early minimalism. Zurria performed pieces that were specially written for him by Giancarlo Cardini, Philip Corner, Noah Creshevsky, Bernhard Lang, Mary Jane Leach, James Saunders, Stefano Scodanibbio, Jacob TV and others. This double CD is the final part of a triptych about minimal music, of which I only heard 'Loop4ever' (Vital Weekly 776) and not the preceding triple CD 'Repeat'. Here, he plays pieces by Steve Reich, Terry Riley and Philip Glass, but also lesser-known composers László Sáry, Adrián Demoč or Rytis Mažulis . The point he wants to make, I guess, is the diversity of minimal music and compare the founding fathers with newbies. I assume, judging by the music that Zurria uses loop devices and pre-recorded sounds in addition to his real-time playing. I could voice an opinion on loop devices, and how probably Reich et al would not like them, but then, to each freedom to use whatever he seems fit. I am not the person to condemn certain apparatus, loopers for instance, or software (bashing Ableton Live as kids stuff); use what you feel conformable with. I very much enjoyed the pieces performed by Zurria. Sometimes he stays close the original, such as in 'Dance #2', originally for organ, composed by Philip Glass but in Steve Reich's 'Clapping Music' we no longer recognize a flute and the instrument is now reduced to a percussion one. In Reich's 'Reed Phase', Zurria adds toy percussion (which he does in a few other pieces too), which give a fine orchestral feel to the piece. Some Eastern European composers have a distinctly different take on minimal music. 'Carduelis' by Rytis Mažulis is quite a dissonant piece of music and Tibor Szemzö's 'Water-Wonder' is a gentle flow. The 'American' pieces are rhythmically stronger and joyous, it seems, with the exception to James Tenny's 'Harmonium II', an excellent drone piece with sine waves. All together this is about two and a half hours worth of music and that is a lot to take in. I did give it a listen in one go, and enjoyed it a lot; Zurria has a lot of variations to offer in how to approach a minimal composition and uses his time well to explore the pieces.
Gino Dal Soler, Blow Up #266/267 Luglio/Agosto 2020
Manuel Zurria è sopra ogni cosa un bravissimo interprete (anche dal vivo) e uno dei più ferventi e pazienti trascrittori se così mi permettete di dire, di partiture minimaliste, per quello che è il suo strumento elettivo, il flauto. Cosa tutt’altro che facile. E ce lo spiega bene nell’auto intervista racchiusa tra le note, quando ha voluto ad ogni costo metter mano alle due parti (2 e 4) di Dance di Philip Glass, che in origine erano per organo e che qui invece Zurria fa scintillare splendidamente con i suoi flauti a cui aggiunge un tocco di percussioni giocattolo e field recordings. La cosa gli riesce quasi altrettanto bene con Dorian Reeds, una delle primissime composizioni di Terry Riley del 1965, che lì era per sax e delays e qui ovviamente per flauti e delays. Efficaci anche le sue trascrizioni di Reed Phase di Steve Reich per tre piccolo e toy percussions, del quale rivisita a modo suo anche il celeberrimo Clapping Music. Tra queste composizioni di lungo respiro fanno capolino le due brevi delicate Bagatelle di Howard Skempton, e i due assai sfiziosi adattamenti di Szamzene del compositore ungherese László Sáry, il primo dei quali suona quasi come uno scherzo dedicato a Tom Johnson per sette voci e percussioni, mentre il secondo più canonico è per sette flauti. L’idea di mettere a confronto l’early minimalism americano di Reich, Glass, Riley, Tenney con i posteriori compositori minimalisti dell’est europeo, è forse la scommessa vincente di questo progetto. Il citato László Sáry e il conterraneo Tibor Szemzö, ma anche il lituano Ricardas Kabelis la cui Kalno Sutartine (VII) per 72 flauti è la vera rivelazione del doppio cd, insieme probabilmente all’appassionata rilettura di Harmonium #1 per 12 flauti e sinawaves del sottostimato James Tenney. E una citazione apposita vale anche per i 7 Flutes di Kevin Volans. C’è insomma molta carne al fuoco in queste due ore e mezza di musica, e l’ascolto è inevitabilmente impegnativo, ma questo è anche il compimento della sua trilogia devota al minimalismo, iniziata nel 2007 con il triplo cd Repeat! uscito su Die Schachtel e poi proseguita nel 2011 con Loops4ever per l’etichetta portoghese Mazagran. Il flautista ci mette tutta la sua partecipazione e passione, con una lettura e riscrittura che mai si limita alla ripetizione accademica, anzi non di rado si manifesta fantasiosa ed immaginativa (7/8)
The chart list for the best 10 records in 2020 by
Andy Hamilton for The Wire Magazine.
Brian Olewnick
The Squid's Ear
This 2-CD set of (mostly) solo flute works can be divided into three general areas. First are pieces by the "big three" of Minimalism: Terry Riley, Philip Glass and Steve Reich. Next are compositions by composers tangentially related in one way or another to Minimalism: Kevin Volans, Howard Skempton and James Tenney. Lastly are works by perhaps lesser known composers from Hungary, Lithuania and Slovakia: Lászlo Sáry, Adrián Demoč, Rytis Mažulis, Tobor Szemző and Ričardas Kabelis. The set includes a booklet that contains an interview with Zurria (in English and Spanish). The flutes are often augmented or overdubbed. For example, two of Glass' "Dances" (1979) are heard, #2 and #4, where the flutes, essentially playing the overlapping lead lines, are accompanied by field recordings and toy percussion. They flesh out the pieces — for this listener, some of the last Glass really worth hearing — very well, giving a somewhat fresh, sometimes amusing angle on them. "In Again Out Again" (1968), originally for two pianos, here for two flutes and toy percussion, also benefits from the additional instrumentation, resulting in a light and spritely work, what sounds like a mini-glockenspiel providing excellent frissons in the upper registers. Reich's well-known "Clapping Music" (1972), is rearranged for "handclappers and electronics", though it sounds like popping flute keys, and not much is gained by the alterations. His "Reed Phase" (1966), originally for saxophone and tape is nicely transformed in Zurria's version for three piccolos and toy percussion, in a manner similar to the high-pitched Glass transformation. The step from saxophone and delays to flute and delays for Riley's "Dorian Reeds" (1965) isn"t so extreme and the result is a track as engaging as the original, creamy and lovely. Both discs end with brief "Bagatelles" from Skempton, one from 1985 and one written for Zurria in 2019. The earlier one is your basic, delightful Skempton while the latter is quite plaintive, a bit sad and very beautiful. Volans" "7 Flutes" (2015), is quasi-minimalist in its layering of various rhythmic patterns, some rapid, others slower, generally recalling Reich but with a looser feel. Zuria ups the ante to twelve flutes (plus sine tones) for his rendition of Tenney's "Harmonium #1" (1976). The mystery and sense of almost extraterrestrial wonder generated in this subtly fluctuating, drone-like piece make it this listener's personal highpoint of the collection. Each disc begins with a short piece by Sáry, 'számzene I & II" (1995), odd, staccato works for, respectively, counting voice (the work is dedicated to Tom Johnson) and seven flutes, both with toy percussion and both kind of zany fun. Demoč's "Canon" (2017), for four alto flutes and written for Zurria, is quite enchanting, the lines weaving and bobbing like fish in a stream, surfacing for air now and then, returning to the flow. Concise and beautiful. Scored for ten flutes, Mažulis" "Carduelis", though consisting of iterated lines, sounds somewhat less minimalist than dreamily neo-Romantic, but is otherwise unremarkable. A Reichian/Rileyesque sound resurfaces in Szemző's "Water-Wonder" (1981-83), for four flutes and delays; pleasant enough, but maybe a bit overly indebted to those composers, though the blurring effect toward the end works very well. Finally, Kabelis" "Kalno Sutartinė" (2015) for...72 (!) flutes generates a reed organ world of sound, shifting groups of four notes (de facto chords), in descending patterns, one after another, a kind of sonic waterfall, mesmerizing, rich and evocative.
The New Noise
Nazim Comunale
Manuel Zurria, classe 1962, è un flautista e polistrumentista italiano per il quale hanno scritto, tra gli altri Stefano Scodanibbio e Philip Corner e che, come performer, ha suonato musiche di Terry Riley, Arvo Pärt, Alvin Curran, Frederic Rzewski. Questo doppio è il capitolo finale di una trilogia in 7 cd dedicata al minimalismo, cominciata con Repeat! (Die Schachtel, 2007) e passata per Loops4ever su Mazagran nel 2011. Again & Again, uno dei dischi dell’anno scorso, come dicevo all’inizio del pezzo, per Ariele Monti (al quale sono unito, oltre che da una profonda stima per quanto fa per le musiche non allineate da innumerevoli anni, anche da una certa affinità di orecchio), racchiude quasi due ore e mezzo di musica che, dice il press kit, ti faranno volare. Si apre il sipario con un breve sketch per voci e percussioni e giocattolo “Számzene I – Counting Music (for Tom Johnson)” di László Sáry, per poi visitare altri cieli con i sedici minuti che non lasciano scampo di “Dance#2”, un Philip Glass del 1979; spirali, rifrazioni, poliritmie, veglia, fughe, estasi, stasi. Felicemente ambiguo ed elusivo, nella sua breve durata, il canone, tautologicamente intitolato “Canon”, di Adrián Demoč, scritto proprio per Zurria, per quattro flauti alti. Perfetta la “Clapping Music” di Steve Reich che nel 1972 inventa la minimal techno su un inesorabile tempo di 6/8. Da Shining arcaico i labirinti nella neve ritmico-armonica di “Carduelis” di Rytis Mažulis, per dieci flauti: ascoltare ad occhi chiusi e non capire se si sta salendo al cielo o scendendo nelle tenebre degli abissi, per poi ricordarsi che siamo semplicemente fermi al solito posto. Fulcro del primo volume la fluviale, magnifica “Dorian Reeds” di Terry Riley, originariamente per sassofono (qui sostituito dai flauti) e delay, venti minuti, stanze e distanze da qualche parte oltre le nuvole delle nostre intenzioni, ed i diciotto di “Dance #4”, ancora di Glass, scritta per organo e qui eseguita in una versione per flauti, field recordings e percussioni giocattolo: il Novecento che si specchia ed ammicca sornione, l’ombra della storia, un esito che suona perfettamente naturale per un lavoro di trascrizione che invece, confessa lo stesso Zurria nella gustosa autointervista del libretto, gli ha portato via tempo ed energie. Il sipario, per il primo tempo, si chiude con l’enigmatica “Bagatelle” di Howard Skempton. Nel secondo cd per davvero si decolla, in un posto che non sappiamo descrivere ma dove l’ossigeno è delizioso e rarefatto, con “7 Flutes” di Kevin Volans, sottile e affilata, o con la “Reed Phase” (1966) di Steve Reich, in una versione per tre flauti e percussioni giocattolo, come un gamelan in una scatola di fiammiferi, o come un giocattolo per un bambino di un paio di secoli che sfugge alle leggi della biologia. L’interesse per i musicisti dell’Est, ampiamente rappresentati nel doppio, dalla Lituania (Mažulis e Kabelis), presente nel secondo volume con la straniante bellezza di “Kalno Sutartine (VII)”, per addirittura 72 flauti (!), alla Slovacchia (Demoč), fino all’Ungheria (Sàry e Szemző, la cui “Water Wonder” per quattro flauti e delay è un ottimo esercizio di speleologia acustica) è legato al desiderio di Zurria d’esplorare un altro lato, meno conosciuto, del movimento minimalista. “Tutto si ripete, ma ogni volta è come se fosse la prima, l’idea del sacrificio condensa rito e santificazione di un gesto”. Ispirato da una intervista del regista teatrale Pippo Delbono, Zurria riporta queste sue parole per cercare di dare una voce ed una descrizione a questi cumulonembi di suono che passano e vanno (la perfetta apnea di “Harmonium#1” di James Tenney, per dodici flauti e sine waves). Un’opera torrenziale e impalpabile, frutto di un labor limae certosino di (ri)scrittura e interpretazione (quasi tutti i brani erano concepiti per altri strumenti e sono stati trascritti dall’interprete): lievissima e di una densità quasi filosofica, capace, forse senza nemmeno desiderarlo (c’è un che di zen lungo questi infiniti minuti, un mood da assenza di volontà) di lasciarti fiorire in testa idee meravigliose che dimenticherai appena penserai di averle colte. Diceva lo spietato Cioran: “Per scorgere l’essenziale non bisogna esercitare alcun mestiere. Restare tutto il giorno distesi, e gemere”. Che è un po’ come respirare in un flauto, o tacere da soli e semplicemente ascoltare.
Forze autentiche che reclamano musicalità
di Nicola Barin - 31 Marzo 2021
Il flautista italiano Manuel Zurria giunge al terzo capitolo di una ricerca che ha come orizzonte la ripetizione, come ricorda nell’intervista contenuta nell’album: «..In questo disco ho voluto mettere a confronto alcuni esponenti della scuola minimalista americana (Philip Glass, Terry Riley, Steve Reich, James Tenney) con un gruppo di compositori che hanno raccolto la sfida dei loro precursori sviluppandone le prospettive in maniera imprevedibile. Sono musicisti che provengono da paesi dell’Est Europeo come la Lituania (Rytis Mažulis e Ričardas Kabelis), l’Ungheria (László Sáry e Tibor Szemző) e la Slovacchia (Adrián Demoč)...».Più che la ripetizione di schemi semplici cogliamo in questo lavoro una forza autentica, come ricorda il filosofo Gilles Deleuze: «La ripetizione “nuda” è selezione pura, ripetizione del differente (non è la generalità né l’abitudine o l’identità), ritorna sulla ripetizione. Le ripetizioni “vestite” sono il mondo dei simulacri, in cui la differenza è somiglianza, l’altro è simile». La ripetizione di Zurria si offre nella sua pura voglia di scardinare le regole, è dotata anzi di humor, come ricordava il pensatore francese in uno dei suoi saggi: «La ripetizione appartiene allo humour e all’ironia; essa è per natura trasgressione, eccezione, poiché esibisce sempre una singolarità contro i particolari sottomessi alla legge, un universale contro le generalità che fanno legge». Again & Again è un’opera che fa letteralmente detonare il concetto di ripetizione come generalmente viene inteso quando si parla di minimalismo.